Ho letto con attenzione le singole storie raccontate nel
libro “Il Bottone del Generale Zucchi” provando per ognuna un’emozione diversa.
Mi vien da paragonare questo lavoro ad una partitura musicale dove ogni
elemento, seppur nella sua diversità, concorre nella buona riuscita dell’opera.
È come se gli autori, Silvio Biondi e Amedeo Blasi, avessero “cucito” i
racconti con l’ago e il filo. Un filo rosso che unisce lembi di umanità
strappata. Ci sono situazioni di fragilità, di avversità, situazioni che ognuno
di noi vive, è un breviario della vita umana.
L’operetta, così mi piace definirla, si dispiega su due
livelli, nel primo le storie, pur nella loro fantasiosità, restano agganciate a
fatti reali e situazioni storiche. Il secondo livello, pur mantenendo saldo un
criterio di moralità educativa, viaggia su atmosfere surreali, inverosimili ma
possibili.
Procedendo nella lettura si crea un
legame tra l’io narrante e il lettore, una sorta di legame filiale.
Delicatamente, da una storia all’altra, il bottone passa da una presenza
casuale ad essere protagonista, e dall’essere protagonista si trasforma in
colui che racconta la storia, la favola.
Nelle pieghe di queste pagine ho incontrato la novità,
volevo sapere come andava a finire ogni singolo racconto. Ho riscoperto
qualcosa che non sentivo da molto tempo, il piacere della curiosità.
Il disegno
rappresenta una torre avvolta da un filo rosso con variegati bottoni
posizionati in punti diversi. Ogni bottone è cucito nella sua storia e racconta
la vita dell’uomo che lo ha indossato,
non posseduto. La torre menzionata è quella dell’orologio posta sulla sommità
di una delle cittadine più caratteristiche e amate della terra di Romagna;
Santarcangelo. Una torre neogotica edificata a fine ottocento che serviva come
punto di riferimento per tutte quelle persone che volevano conoscere l’esatta
ora del giorno.
Allora il tempo era scandito dal rintocco delle campane
delle chiese o dalla torre del municipio, e solo pochissime persone si potevano
permettere di possedere un orologio. Il filo rosso che circonda la torre scorre
in un vortice a spirale raggiungendo le estremità che prendono la forma di due
mani. La mano in alto sembra voler afferrare la lancetta del tempo che in punta
ha una cruna triangolare. È come se il tempo venisse a patti col filo rosso per
farsi legare a sé. Aspetto che simboleggia la continua ricerca dell’uomo ad
aggrapparsi, frenare, controllare… ma il tempo invece scorre e corre
inesorabilmente.
Solo pochi impavidi
hanno ancora il coraggio di lottare per l’enigmatica anima dei bottoni.
Investito da sovrano della “Memoria Bottonica”, Giorgio Gallavotti raccoglie
nella sua corte il Museo del Bottone di Santacangelo di Romagna, la chiave di
lettura di un mondo semplice, a portata di mano, che sprigiona valori e
tradizioni dal sapore antico.
Ed ecco la mano di re Giorgio sbucare dalla piccola
finestra sotto l’orologio. Trattiene l’ago: “Se il destino lo vorrà il filo
rosso nella cruna passerà”. E’ la speranza che l’uomo ripone nel destino. La
mano alla base della torre mostra la luna, il desiderio e la speranza di
realizzare l’impossibile. La luna è nel catino e l’acqua dolcemente la riflette
per noi; è un’illusione? O invece è proprio questa la realtà: potere incontrare
le storie dei bottoni e finalmente imparare di nuovo a sognare.
Orazi Orazio.
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